domenica 27 febbraio 2011

Fine delle trasmissioni (ma non di Trish Keenan)

la frangetta più eterea
La notizia della morte di Trish Keenan, voce e metà dei Broadcast insieme al marito James Cargill, avvenuta lo scorso gennaio per colpa di una polmonite (a sua volta causata dal virus H1N1, contratto nel corso di un viaggio di famiglia in Australia), e letta sovrappensiero, prima di addormentarmi, su un'innocua rivista di musica spagnola, mi ha lasciato folgorato, stecchito, scosso, come se in realtà avessi letto la notizia della mia morte. Ho amato molto la musica spettrale ma accogliente dei Broadcast,  anzi, in un certo senso non ho mai amato nessun gruppo come loro, la sensazione di non ascoltare delle semplici canzoni ma di trovarmi immerso in un'atmosfera lontana (nel tempo e nello spazio) e surrealista, in cui il mistero dell'inconscio (il loro, il mio) illumina con la sua luce tremolante un collage ininterrotto di spirali di melodie, frammenti di voci, suoni trovati chissà dove e cadaveri squisiti. La notte che ha seguito la scoperta della scomparsa di Trish Keenan è stata allora come attraversare un lungo ed ipnotico tunnel, accompagnato dalla sua voce in cui le parole si rincorrono come cani randagi sulla spiaggia, in cui le sillabe riflettono l'eco lontana di un carillon che gracchia, di una bambina che impara una filastrocca, di un flauto suonato nell'arcadica campagna inglese, un pomeriggio assolato, con l'erba alta e un torrente che scorre poco lontano. Quel tunnel lo conoscevo, perchè ci ero già passato la notte in cui mi ero addormentato ascoltando per la prima volta, con le cuffiette nelle orecchie e la testa sul cuscino, il loro ultimo disco, Broadcast And The Focus Group Investigate Witch Cults Of The Radio Age, e, cullato da quelle epifanie sonore, avevo provato la sensazione eccitante e allo stesso tempo sconvolgente dell'atemporalità, di essere dappertutto e in nessun posto, nella mia infanzia e nel mio futuro, da prima della mia nascita a oltre la mia morte. Avevo intuito per la prima volta, e con torbida chiarezza, che non è vero che il passato si dissolve con il passare del tempo, ma che il passato è sempre adesso, perchè il presente è sempre anche memoria, è fatto di memoria e immaginazione, sogni e ricordi, viaggi nel tempo e nostalgia per vite mai vissute.

Mi è subito tornata alla mente la straordinariamente evocativa intervista che i Broadcast avevano rilasciato alla rivista inglese The Wire in occasione dell'uscita del disco. Sono andato a recuperarla nella mia biblioteca e già la sola immagine di copertina, con la pallida luce che rende inconsistente il profilo gotico di Trish Keenan, l'iridescenza dei riflessi sull'obiettivo, la pannosità biancastra della sua visione, mi ha rivelato la presenza di un fantasma. Mi ha ricordato certe figure fantasmatiche che apparivano nei collage di Max Ernst, in  particolare nella serie Une semaine de bonté, che ho avuto la fortuna di vedere e rivedere un paio di anni fa in una mostra organizzata alla Fundaciòn Mapfre di Madrid. Ernst ritagliava queste figure bizzarre (fantasmi, draghi, serpenti, uccelli, leoni) da vecchi roman noir illustrati del settecento e le incollava, con precisione chirurgica e macabro senso dell'umorismo, in altrettanti feilleuton rosa, trasformando romantici baci nelle alcove damascate in morti visionarie tra inondazioni, incendi e sinistre apparizioni di uomini mitologici dalla testa di animale. Anche le canzoni dei Broadcast (le ultime soprattutto, ma in modo meno sperimentale anche le prime) non sono altro che collage surrealisti, medium tra due (o più) dimensioni, un ponte onirico che collega  il loro inconscio con quello dell'ascoltatore, un radar amatoriale che intercetta e amalgama e distorce i suoni, i rumori, i lamenti, le nenie e le preghiere dell'oscurità. Canzoni che nascono e muoiono con la stessa spontaneità e velocità dei petali dei fiori, di cui accompagnano la caduta fino al contatto con la terra umida, momento in cui già si sono trasformate in qualcos'altro, in un ciclo vitale e mortale che non ha mai fine e, soprattutto, non ha mai senso.

I Broadcast erano un gruppo digitale che suonava analogico, come io sono un ricco imprigionato in un'esistenza da povero, ed entrambi ci siamo salvati grazie all'incessante curiosità che contraddistingue gli spiriti inquieti e gli intellettuali di provincia. Nelle loro canzoni, il mondo esterno non esiste più, perchè tutto è dentro di noi, tutto, se lo sappiamo ascoltare ma anche, alle volte, sollecitare, sgorga dal nostro profondo con la violenza ancestrale delle cose che ci precedono, tutto quello che sono state le persone che hanno abitato il nostro territorio siamo anche noi. E' un'esistenza ruotata di qualche angolo rispetto alla media, in modo da osservare la realtà da una prospettiva obliqua. La stessa placenta in cui mi immagino galleggi Joanna Newsom, l'unica voce che potrebbe mai prendere il testimone di Trish Keenan, auscultando i suoi palpiti dall'al di là. Che poi, l'al di qua dei Broadcast era già un al di là, e il loro ultimo disco era popolato, anzi, infestato di ricordi di persone, luoghi e cose trovate ad Hungerford, il paesino di campagna del Berkshire in cui si erano trasferiti dagli affitti cari di Birmingham, un luogo solo apparentemente idilliaco ed invece al centro di un'atmosfera mitica ed esoterica (i cerchi di pietra neolitici di Avebury, l'antica necropoli di West Kennet Long Barrow e la collina di gesso di Silbury Hill sono ad un inquietante passo da Hungerford), quando non direttamente raccapricciante (è il luogo in cui nel 1987 il disoccupato Michael Ryan trucidò, in un raptus di follia, 16 persone, e dopo si suicidò, ma non prima di aver detto che "era meglio se stamattina restavo a letto"). Trish poneva la sua voce a disposizione di streghe medievali, di morti impiccati che volevano dire un'ultima parola, di bambini che si raccontano segreti, di cori di chiese remote, e James la accompagnava con suoni indecifrabili in costante e scivoloso equilibrio tra la giocosità e l'ipnosi.

L'impressione che dà l'ascolto di quel magma di brani senza capo nè coda è quella inquietante di ascoltare un film, tante cartoline sovrapposte - ma non la loro colonna sonora, quanto frammenti musicali dei film, in cui le melodie si mischiano alle parole degli attori e ai rumori fuori scena. E' come ascoltare un non-film. Non è un caso che anche Trish Keenan, nella lunga intervista con The Wire, confermava questa sensazione sospesa di non essere, suggerendo che lo spostamento da Birmingham a Hungerford aveva galvanizzato la sua infatuazione per "l'idea del mondo in me come opposta a me nel mondo". Difficile trovare un concetto più affascinante, e lei lo spiegava raccontando che negli album precedenti si era sentita come Alice nel paese delle meraviglie, cercando di dare un senso a questo strano mondo, mentre nell'ultimo anno aveva sofferto un piccolo rivolgimento dentro di sè, iniziando a sentire che dentro di lei c'erano molte persone e che doveva lasciarle uscire fuori. In realtà, anche in passato, si era limitata a piegarsi alle forze che popolavano i suoi pensieri, impiegando nelle sue composizioni metodi aleatori come la scrittura automatica e i cut-ups, improvvisazioni e scoperte involontarie, flussi di coscienza e accumuli di scampoli di parole arcane. Fa venire i brividi e allo stesso tempo ammalia sentirle raccontare che
"I had an idea that if I improvised words vocally I would end up with some odd juxtapositions, a kind of lucky bag of words that could feel totally random. But what I found was I couldn't shape the words out of my mouth fast enough. Instead I was left muttering at the edge of language, sounding more like Kurt Schwitters than the odd shop of nouns and verbs I was hoping for".
E' illuminante, e per me confortante, il riferimento al grande pittore svizzero Schwitters, uno di quegli artisti figurativi che -insieme a Per Kirkeby, Robert Rauschenberg, Enrico Baj, Antoni Tàpies, certi protagonisti minori della Bauhaus pittorica, per evidenti motivi di assonanza estetica- amo di più. L'intrigante mistero dell'ignoto, la magia infantile del linguaggio incapace di esprimere concetti che ci limitamo a percepire, la complessità infinita del mondo che esploriamo con i nostri mezzi finiti, possono essere affrontati solo con la tecnica automatica del collage, dell'accostamento involontario e surreale, della combinazione libera tra la logica e l'impulsività, il subconscio e l'intelletto, facendo dell'imperfezione una virtù. I dischi dei Broadcast non sono altro che questo, manipolazioni della realtà e del tempo, scarti di sogni che si rincorrono e si sovrappongono senza senso, fratture improvvise e salti nel tempo, seguendo il montaggio singhiozzante del più strano dei film. Innocenza e ossessione si danno la mano in un viaggio fino al termine della notte, nella scoperta di una psiche che va oltre i confini da kitchen sink drama in cui Trish Keenan era cresciuta, in pieno riflusso da free cinema, negli anni settanta della working class inglese del nord del paese, scenario per antonomasia di scheletri post-industriali, residui di modernità, che gli architetti chiamano significativamente edgelands.    

Se le canzoni dei Broadcast sono dei diari di persone sconosciute trovati sotto un albero, impressioni timide e confuse di emozioni dimenticate, collezioni nostalgiche di vite altrui, il loro ascolto genera una sindrome da falsa memoria, come se la nostra soggettività venisse risucchiata, volontariamente, nel labirinto dei loro viaggi  immaginari nel tempo e nello spazio, puro spirito impalpabile, e poi non sapesse trovare la via d'uscita, scambiando quella (ir)realtà per il proprio passato. Ecco perchè allora il passato è adesso, è dentro il nostro presente, e la nostra memoria raccoglie la memoria del mondo intero, di quello che c'era e che adesso non c'è più. Come Trish Keenan, che è finalmente arrivata nel posto in cui, in realtà, vagava già da tanti anni, e che continuerà ad ossessionarci e cullarci con la sua voce finché non la raggiungeremo

The page turns on me and you
Across that white plain
The land is unchanged

Broadcast, Tears in the typing pool

1 commento:

Anonimo ha detto...

grrrazie per questo malinconico epitaffio; anche a me ha fatto qualcosa di simile il venire a conoscenza della dipartita di Trish Keenan. Qualcosa di simile anche a quella volta che appresi dell'incidente a Mary Hansen.
Ancora, grazie

Cruyff