Interrogato sul motivo per il quale normalmente sceglie di scrivere canzoni che ritraggono il momento in cui una relazione si rompe e non quello che la rende speciale (Rockdelux 268), Nacho Vegas -indubbiamente il cantautore spagnolo più carismatico in circolazione (insieme ad Antonio Luque, alias Sr.Chinarro)- risponde in maniera vera e sincera, spiegando che la creazione artistica sorge dal contrasto e dal mistero, mentre i momenti felici non sono fatti per essere raccontati, ma solo per essere vissuti:
"Cuando te encuentras en un momento bueno dentro de una relaciòn, de lo que disfrutas es de cierta armonia, parece que al fin las cosas encajan. Y yo es lo que quiero, como cualquier hijo de vecino, pero eso no provocarà en mì la urgencia de escribir una canciòn. Las canciones nacen del caos, del desorden, de los sentimientos extremos, de todo aquello que no alcanzas a comprender".
Questa poetica malinconica trova piena conferma nell'ultimo, bellissimo disco del rocker asturiano,"El Manifiesto desastre", dove ci si concentra su quello che ci si lascia dietro piuttosto che su quello che si cerca, su quello che si perde piuttosto che su quello che s'incontra. Già l'intensa penombra della copertina -la posa pensosa, il ciuffo illuminato, la sigaretta che pende dalle labbra- sembra suggerire che per poter utilizzare il passato in una canzone c'è bisogno di una certa distanza, e che questo disco in chiaroscuro non è altro che un viaggio a ritroso nel tempo, un modo per smettere di leccarsi le ferite e poter finalmente guardare avanti, o perlomeno al presente. E il presente di Nacho Vegas è radioso, nel pieno di una relazione con la più incantevole e curiosa delle protagoniste della scena indie spagnola, quella Christina Rosenvinge che ogni anno e ogni disco che passa si fa sempre più affascinante.
D'altronde, se avesse voluto parlare di lei, il biondo di Gijòn non avrebbe inaugurato il disco -in "Dry Martini, S.A."- con la mite rassegnazione di queste parole:
"Hablo solo, bebo tè, tomo notas para hacer de mi vida sin ti algo habitable.
Leo entera La Razòn, hoy desarmè la televisiòn, tarareo una canciòn insoportable.
Asì pues, cuando no tengas nada que hacer y yo pase por tu cabeza,
nadie podrà oìrte, asì que piensa en mì como si me quisieras".
Ma d'altronde, se lo si può vivere, non c'è bisogno di riflettere in una canzone il momento speciale che attraversa una relazione. Ci sarà tempo per trasformarlo in un ricordo dolente.
A pochi mesi di distanza, si incontra, e non per caso, lo stesso chiaroscuro sentimentale nell'ultimo lavoro di Christina Rosenvinge, "Tu labio superior", forse il disco più coraggioso, intelligente e viscerale in tutta la carriera della bionda madrileña di famiglia danese - che ormai si è scrollata di dosso anche le ultime diffidenze che si portava dietro dai suoi teneri esordi pop di fine anni ottanta. La Rosenvinge adesso è un'interprete matura, impreziosita da una bellezza disarmante, figlia delle contraddizioni che in lei convivono, che la rende a suo modo unica, perlomeno in Spagna. A livello musicale, di ritorno alla lingua spagnola dopo la vocazione più avanguardista degli ultimi lavori (la cosiddetta trilogia newyorchese, arida e oscura), la Rosenvinge scrive in maniera più semplice, diretta, efficace, senza per questo rinunciare al mistero, alla sensualità e al turbamento che hanno sempre contraddistinto le sue produzioni. Inoltre, se possibile, piuttosto che impoverire la sua narrazione, l'ingenua imperfezione del suo accento spagnolo aumenta ancor di più il grado della sua femminilità, così come una piccola cicatrice sul mento, una frangetta irregolare o una fossetta orfana su una guancia rendono più attraente un viso femminile.
Il disco si apre con una canzone sussurrata ("La distancia adecuada"), che nasconde dietro una melodia volutamente dolce la torbida malinconia dell'attesa, della lontananza, dell'inquietudine che si prova verso chi si ama nonostante la sua volubilità (anche a causa de "esa señorita/que rima conmigo/que te ronda siempre alrededor./Es tu favorita/ te lleva consigo y te gusta màs que mi canciòn"). Senza indulgere in alcuna desolazione adolescenziale, è come se anche la Rosenvinge avesse deciso di guardarsi alle spalle, di liberarsi del passato, di svuotare le tasche del cappotto sul tavolo dell'ingresso prima di andare al cinema con Nacho Vegas, e mette quasi i brividi la simmetria a distanza dei loro versi iniziali:
"Nunca para tì es quizàs
yo no me equivocaba
la desazòn se va a llevar
en esta temporada
tal vez no debì dejar
que jugaras con mi falda
que difìcil es guardar
la distancia adecuada".
In fondo, è come se "El manifiesto desastre" e "Tu labio superior" fossero lo stesso disco, il racconto dello stesso passato visto con due sguardi diversi, o forse di due passati diversi visti con lo stesso sguardo. Per entrambi, la cosa più difficile rimane saper mantenere la distanza adeguata, quella distanza sfuggente che separa il passato e il presente, la ragionevolezza e il desiderio, la libertà e la vulnerabilità. Amare e amare troppo. La distanza tra loro due.
Che siano capaci di riuscirci, e quindi di evitare che la loro relazione raggiunga quel punto dopo il quale può solo iniziare a dissolversi, a me importa assai poco. Quello che mi importa è che continuino a scrivere queste canzoni, e che io, magari, possa ascoltarle in macchina mentre raggiungo le Asturie, le sue scogliere, i suoi ricci di mare, con la mappa aperta sul sedile del passeggero e una lettera piegata sul cruscotto.
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